E bravo il Luttazzi, avesse fatto il musicista, forse sarebbe ancora la in Rai, a farci sorridere.
Secondo album per il comico romagnolo, che è una apologia vivente dell’ecletismo. La scuola è noiosa , meglio la musica.
Come nei thriller il pianoforte è indizio di brividi, così l'incipit al piano di questo secondo disco di Daniele Luttazzi apre le porte a emozioni forti, dieci canzoni e una traccia strumentale capaci di scuotere e sorprendere. A non sorprendere, naturalmente, è il fatto che il poliedrico satiro romagnolo eccella anche in questa forma espressiva, visto che sa plasmare le caratteristiche di ogni mezzo utilizzato – dalla tv al teatro, dai libri ai disegni, alla musica appunto, “incontrata” nel 1979 – attorno alle proprie peculiarità. “L’arte ti chiama e non puoi fare altro che rispondere” dichiara Luttazzi, ed è un po’ come se anche questo album (che arriva due anni dopo l’esordio ufficiale con ‘Money For Dope’) chiamasse all’ascolto, ripetuto e famelico.
Si vola su un mix di musica e melodia che Luttazzi vuole ora rock, ora jazz, ora swing, per restare quasi disorientati scoprendo di aver ballato su un testo malinconico, a volte perfino doloroso: dal disagio esistenziale vissuto in età diverse (‘A place of cries’, canzone che apre l’album; ‘Travelling alone’; ‘School is boring’; ‘Words of love’; ‘Sobbing in shame’), all’amore che finisce con ‘The broken hearted’, dal tentato suicidio di ‘The flowers in spring’ all’innocenza perduta di ‘Three kind of paper’, dal sesso estremo di ‘Dreams come true’ allo stupro in discoteca con conseguente aborto di ‘Wet Out’ (testo con cui l’artista racconta la vicenda realmente accaduta a una sua amica). Gli arrangiamenti di Massimo Nunzi non si risparmiano, con uno stuolo di strumenti chiamati di volta in volta a lavorare per sottrazione o a rincorrersi in maniera corale: spiccano, forse per chi è abituato ai suoni asciutti del rock, l’abbondanza di archi e fiati e fra questi anche il soprano e l’alto di Stefano di Battista. Camaleontica e versatile la voce di Luttazzi fa il resto.
Per chi va a caccia di nomi, si possono fare anche quelli di Andy Gravish (tromba e flicorno) e Ada Montellanico, ma in questo lavoro – meno ancora che per altri – non sono solo i singoli a valere, ma l’armonia d’insieme. E questo dovrebbe essere – sempre – la musica
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